MIA PREMESSA
Rimango sempre affascinato dal mistero del suono e dalle sue valenze relazionali; così potenti e ancora così oscure.
Vi propongo questo articolo (dal “corriere della sera”) non tanto per la profondità intellettuale, di cui vedrete è totalmente privo, né perché propone dati utili al nostro lavoro.
È solo uno spunto per riflettere su quanto poco ancora sappiamo di questo parametro che ci vantiamo di conoscere così tanto da usarlo per “aiutare” i nostri pazienti.
“A che cosa faccia appello la musica in noi è difficile sapere; è certo però che tocca una zona così profonda che la follia stessa non riesce a penetrarvi.” – Emil Cioran
L’ARTICOLO
Un neonato che piange è un suono che non potremmo ignorare nemmeno se lo volessimo, perché basta sentirlo per appena cento millisecondi (ovvero, il tempo di un battito di ciglia) per attivare i centri emotivi del nostro cervello ed ottenere così una reazione istantanea, mentre altri lamenti (come ad esempio un animale in difficoltà) non ottengono la stessa risposta-lampo.
REAZIONE IMMEDIATA – Insomma, l’essere umano – non importa se genitore o no – è programmato per reagire in maniera specifica e pressochè immediata al pianto di un bambino e la correlazione causa/effetto è stata analizzata da un team di Oxford guidato dalla dottoressa Christine Parsons, che ha poi presentato i risultati dello studio nel corso dell’annuale convegno della Society for Neuroscience , che si è chiuso mercoledì a New Orleans.
IL CERVELLO SCANDAGLIATO – Scannerizzando il cervello di 28 persone impegnate ad ascoltare una serie di urla diverse, è stato possibile valutarne la loro reazione, scoprendo come questa fosse decisamente più forte di fronte agli strepiti di un bimbo più che per altri tipi di suoni e che questo tipo di risposta valeva tanto per gli uomini quanto per le donne, indipendentemente dal fatto che avessero figli oppure no. «La ricerca è stata condotta su un campione senza figli e oltretutto senza particolari esperienze nella cura dei bambini – ha spiegato la Parsons al Daily Mail– eppure tutti, sia uomini che donne, hanno reagito nel medesimo modo e dopo un’esposizione di soli 100 millisecondi, confermando che si tratta di un tipo di reazione presente in ognuno di noi e quindi non legata allo status di genitore».
FORSE UNA SPIEGAZIONE ALLA DEPRESSIONE POST-PARTUM – In precedenza, sempre lo stesso studio aveva anche evidenziato come il pianto di un bambino accelerasse e migliorasse le azioni umane (la prova era stata fatta usando dei videogame che richiedevano velocità, destrezza e abilità), mentre un identico risultato non si otteneva se il disturbo sonoro era causato dal suono di un adulto in lacrime o dal canto acuto di un uccellino. Non a caso, secondo gli scienziati inglesi, proprio l’analisi di come il cervello di una persona senza particolari patologie risponda agli stimoli scatenati dal pianto di un bambino potrebbe servire a far luce sulla depressione post-partum, che colpisce un sempre più elevato numero di donne.
Simona Marchetti
18 ottobre 2012
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